Perché, dopo oltre 70 anni dalla nascita dello Spazialismo, è importante pensare alla realizzazione di un "olio su tela” senza disporre della tela su cui dipingere?
Milano 1965 – Nel corso di una discussione con Giorgio Kaisserlian il problema emerse con tutta evidenza. Tutto partiva dalla tela, sentita come ostacolo, impedimento da superare per procedere verso l’infinito. E la realizzazione, la forma-tela, al di là della pittura e della scultura.
Era la dinamica stessa dell’innovazione, del proiettarsi oltre, che non ammetteva fraintendimenti: con le "Attese”, ormai, si era giunti definitivamente al superamento della vecchia mentalità e del tradizionale modo di fare dell’artista – ad iniziare proprio dall’idea inveterata della tela come supporto piano su cui "fondare” e organizzare il proprio lavoro.
L’azzeramento della pittura. L’atto risolutorio che ormai non consentiva più alla pittura di proporsi ricorrendo alla tela, come se la stessa tela fosse stata requisita e confinata in un luogo inaccessibile agli artisti.
Da qui il necessario concetto-limite che interveniva a definire, a dar pienezza di senso alla risoluzione di Fontana. Era, ed è, la logica stessa dell’innovazione che, data l’impossibilità di disporre della tela, portava a concepire, come suo esito consequenziale, un evento paradossale: la realizzazione di un dipinto, e nello specifico, di un olio su tela senza disporre della tela su cui dipingere.
Un passaggio obbligato ma impraticabile (così si dovrebbe pensare).
Un valore dirimente riconosciuto dal mondo dell’arte. L’impossibilità della tela si è espressa innanzitutto nei termini di una concettualizzazione imperniata sulle cosiddette “proprietà non esibite” del fatto d’arte. Oppure si sono prefigurati mondi possibili (e spesso immaginari) come deroga all’interdizione in atto.
Ma la densità semantica di una nuova proposta si misura non sull’elusione immaginaria dei vincoli, ma sull’accettazione di condizioni restrittive con cui è necessario fare i conti.
Un range molto ristretto di possibilità ha portato tra il 1947 e il 1958 alla tela-forma e al conseguente concetto-limite dell’”olio su tela” senza disporre della tela su cui dipingere. Ora si tratta di superare questo ulteriore limite, nei termini di una nuova realizzazione. Un prototipo che, nella sua fisicità, costituisce un “olio su tela” senza la sua necessaria premessa costituita dalla tela su cui dipingere.
Ogni ragionevole tentativo di superare il limite è una buona ragione per cercare di realizzare ciò che è ritenuto impossibile.
Ci sono, dunque, buone ragioni per concretizzare qualcosa d’impossibile…
Marco Almaviva
FOCUS ON CANVAS
Paolo BENSI
Docente di Storia delle Tecniche Pittoriche
Dipartimento di Architettura e Design
Università di Genova
Sandro RICALDONE
Critico d'arte e Direttore di Entr'acte
Venerdì 28 giugno 2019, alle ore 17:00