La Filoplastica è innanzitutto una peculiare forma pittorica che riflette una visione del reale nata da una riflessione sul dramma dell’esistenza, a partire dalle sua primarie manifestazioni al livello della sfera biologica.
Le sue premesse si collocano nel dibattito artistico degli anni ’60, in un contesto nel quale le coordinate del fare arte si polarizzavano, da una parte, nella pretesa della artista nell’inglobare nella sua soggettività ogni riscontro del reale, e dall’altra, nella convinzione che l’arte potesse riscattare il mondo, negandolo a favore di una pretesa comprensione delle essenze ultime della realtà. In entrambi i casi si trattava di due modi di intendere l’arte che convergevano nella comune elusione di un confronto con la scomoda evidenza del dato naturale. Quando nel 1967 nacque la Tonaltimbrica, la prima forma pittorica elaborata da Marco Almaviva, questi due approcci vennero rifiutati a favore di una concezione che, rifiutando le metafisiche tradizionali, doveva prendere atto della oggettività del reale, e in primo luogo, del carico di violenza e di sopraffazione che inevitabilmente segna la sfera naturale. Nella concezione artistica di Almaviva la natura non poteva costituirsi come un rassicurante territorio da esplorare per scorgere al di là del variopinto scenario del mondo sensibile, gli arcani di una codificazione divina che avrebbe assicurato una sicura redenzione del male. E la stessa complessità, la varietà delle tipologie dell’esistente non si potevano giustificare nell’ottica di una originaria esuberanza creatrice che relativizzava il male come una componente al limite necessaria per l’armonia del cosmo. Il molteplice, nell’ottica della Tonaltimbrica, si doveva considerare come declinazione di uno stato di cose, di un sistema che nell’antagonismo del biologico aveva la sua più evidente conferma. La pittura diventava quindi testimonianza, denuncia che veniva espressa da una segnica acuta e penetrante capace di riproporre la spasmodico contrasto, la compenetrazione violenta, proprio della sfera naturale.
Nel 1971 il codice ispido e aggressivo della Tonaltimbrica si trasforma nella Filoplastica. Assume la fluidità di un segno filamentoso che entra in simbiosi con la base tonale del dipinto. Il grafismo che delimitava ed esasperava la composizione tonaltimbrica, cede il suo carattere più evidente e più legato alla tradizione. Il tratto, il segno pittorico non interviene più nella delimitazione, sovrapponendosi all’estensione del colore. Scompare l’elemento più ricorrente della pittura nelle sue diverse articolazioni: la sovrapposizione del “grafema”, inteso proprio come segno elementare che struttura con le sue delimitazioni il dipinto. È una sorta di “regressione”, di immersione in una materia primordiale, affrancata da ogni interpretazione in negativo e che proprio per questo, quale riferimento per un mondo possibile, nella rappresentazione di Almaviva assume caratteri di un’estensione luminescente, cristallina al limite dell’impalpabilità. La Filoplastica, del resto, non è che la riconduzione del mondo tonaltimbrico ad una ipotetica radice materiale, che non si pone come superamento in senso spiritualistico del modo sensibile. Ma proprio perché le stesse basi della riflessione sulla realtà rifiutava assunti ultimativi sulla struttura del reale, si apriva la possibilità di pensare, in parallelo al dramma dell’esistenza ad un idealtipo filoplastico, dal quale attingere schemi ed eventualità derivanti da una materia nuova capace di riorganizzarsi secondo diverse possibilità.
Buggiano, 11 maggio 2015
Marco Almaviva
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